La grande Bellezza

Sunday, April 20, 2014

La grande bellezza di Paolo Sorrentino

di

Antonio C. Vitti

            La grande bellezza, film vincitore dell'Oscar 2014 per il miglior film straniero, respinto prima al festival di Cannes da una giuria hollywoodiana, vince l’Oscar inglese, il Golden Globe assegnato dai critici cinematografici, alla prima uscita in Italia aveva diviso i critici italiani per poi scatenare uno sciatto trionfalismo nazionalista su quasi tutti i giornali nazionali con titoli inneggiando all’Italia che trionfa alla notte degli Oscar. Film diretto magistralmente da Sorrentino  che alterna momenti visivamente bellissimi con spezzoni morti che richiedono che lo spettatore si lasci trascinare in un discorso narrativo e cinematografico ricco di riferimenti a Fellini, Pasolini, Celine e D’Annunzio, alla pittura e alla mondanità contemporanea di un mondo falso e pieno di decadenza sociale e morale. Negli Stati Uniti il film è stato presentato come: “An opulent look at Rome, at decadence, at love, at opulence and at stupidity” in Italy during the Berlusconi years through the eyes of Jep Gambardella (Toni Servillo). In un’intervista su Youtube, Sorrentino parla della sfida nel fare un film generico sul tutto e il rischio corso nel finire con il dire niente. 

Il film di Sorrentino inizia con un riferimento alla Sindrome di Stendhal, difatti una turista giapponese muore d’infarto davanti alla bellezza di Roma che cercava di fotografare dal Gianicolo. Il regista sembra dirci che la bellezza deve essere scoperta lentamente e con disponibilità e aperture verso il mondo esterno. Oltre al tema della bellezza altri temi conduttori del film sono il viaggio, chiaramente annunciato all’inizio del film con il riferimento a Viaggio al termine della notte di Céline. Il viaggio come metafora della vita che va dalla nascita alla morte e fa lavorare l’immaginazione umana, giacché tutto il resto è delusione e fatica. La vita umana è un viaggio che forse è più bello se tutto è inventato e immaginato. Nel corso del film l’itinerario del viaggio della vita prosegue e si sviluppa attraverso lo sguardo di Jep Gambardella, dandy anacronistico, sessantacinquenne, giornalista della mondanità, scrittore senza ispirazione, che cerca un ideale durante il periodo storico degli anni Sessanta e settanta del secolo scorso. Periodo che corrisponde alla sua giovinezza, al suo primo amore e al momento del suo trasferimento a Roma che non casualmente corrisponde anche momento aureo del cinema italiano. Jep è un flâneur attraverso una Roma metaforica, metacinematografica e reale: Roma, città del grande impero, della cristianità, ricognizione iconografica mitologica e spirituale, con riferimenti meta cinematografici a Pasolini e alla sua Roma negli anni sessanta con Accattone e le Borgate e Che cosa sono le nuvole. Una chiave di lettura del film si trova nel riferimento all’arte pittorica, nel Vaticano ne La stanza della Segnatura tra il 1508 e il 1514 su commissione di Papa Giulio II, Raffaello Sanzio esegue degli splendidi affreschi in cui fissa punti importanti dell’esistenza umana: prudenza, giustizia, fortezza, temperanza e la consolazione della bellezza. Un angelo schiude un cartiglio dov’è scritto che la bellezza è il respiro di Dio.  I critici cinematografici di fede cattolica l’avevano colto l’epitome della divina bellezza del visibile, il potere assoluto dell’invisibile nell’abbraccio ecumenico del grande Cristo statuario che sorvola la Roma felliniana de La Dolce vita. Per Jep è irraggiungibile e viene evocata come un miraggio: il mare sul soffitto.  Il centro vuoto del film: il mondo romano della mondanità osservato da Jep prescinde dalla morale e dal giudizio, Jep, uomo del Sud, pigro, senza entusiasmi, osserva con distacco una Roma ossessionata dalla chirurgia estetica, persino le suore, dal denaro, dal successo e dalla visibilità. I pochi personaggi che si salvano sono  Carmelina, Stefano  e  Ramona, Romano  e Maria, la Santa,  che  ha sposato la povertà  e a cento e quattro anni ha la forza e  affronta i misteri della vita. Per Jep invece esiste la nostalgia di Elsa. il suo primo amore.

Il film di Sorrentino ricorda La dolce vita e Otto e mezzo di Fellini, nella sofferta ricerca  dell’indagine interiore. Niente di originale tematicamente, ma ripropone il grande tema del significato della vita e il come possiamo scoprire dentro di noi la bellezza della vita in un periodo storico in cui le influenze dei media e della società ci condizionano. La regia di Sorrentino riesce a dominare la storia e a creare scene poetiche attraverso elaborati movimenti di macchina. Lo sguardo di Servillo aiuta a entrare nel racconto  e nel contrasto tra l’apparire e l’essere, e alla fine la grande bellezza si scopre qualcosa si semplice ed essere veri con se stessi .