Filologia dell'anfibio genere rap
di Rosarita Digregorio*
Il rap, costola di un più vasto orizzonte culturale universalmente noto come hip pop, nasce durante i block party, feste libere nelle strade dei quartieri latini e afroamericani delle grandi metropoli americane; tuttavia, questa matrice marginale, periferica, contestatrice, non gli ha impedito di diventare in pochi anni espressione musicale trasversalmente seguita e apprezzata.
Spopola nei social
Negli ultimi anni, il genere è stato sdoganato al Festival di Sanremo, nei principali talent-show, insinuandosi persino in uno dei più celebri feticci della cultura commerciale, i messaggi dei famosi cioccolatini Baci Perugina, che per Natale 2015 hanno riportato le frasi d’amore delle canzoni di Fedez, giovane, affermatissimo rapper milanese. I numeri del seguito social dei cantanti rap denunciano chiaramente che non si tratta più di un intrattenimento musicale di nicchia: nella classifica dei 50 rapper più seguiti su Facebook nel 2015 redatta dal sito rapburger.com, primeggia Fabri Fibra con quasi due milioni di follower, seguito proprio da Fedez con circa 1.700.000 supporter e J-Ax, con i suoi 1.300.000 like. Insomma, cifre davvero impressionanti per un genere fortemente marcato e decisamente non melodico.
Velleità rappisitiche devono inoltre essere ampiamente diffuse se non mancano siti che offrono “generatori di rime rap”, come http://www.dev06.com/rime-rap.php, veri e propri rimari per autori rap a cui manchi la parola giusta per completare la sequenza beat. Dignità letteraria è stata conferita al genere da Alberto Arbasino, che con i suoi Rap! e Rap 2 (Feltrinelli, 2000 e 2001), ha adottato per la sua satira civile gli schemi metrici e ritmici e gli stilemi propri del rap, nonché il tipico, crudo realismo linguistico e il tono politicamente scorretto e trasgressivo.
Identità e dialetto
L’intenso valore identitario di questa musica, inscritto proprio nella sua genesi, fa sì che i rapper manifestino apertamente nei loro testi un profondo legame con il gruppo etnico-sociale di appartenenza. Il rapporto con la terra di origine, così, senza particolari distinzioni tra Nord e Sud Italia, risulta evidente, anzi enfatizzato, come canta Fabri Fibra, ne Il rap nel mio paese: “L’accento da milanese il rap nel mio paese”. Celebre il brano Ga el Suv, di Dj ICE, feroce parodia dell’arricchito milanese che, attraverso lo sfoggio della sua grande automobile, dimostra la sua ricchezza, ma anche la sua pochezza morale: “Bèlla/Alùra?/Bèlla/Alùra?/El ga el Süv/Uè, testina... cosa vuoi?/El ga el Süv/Inquina? Fatti tuoi!/[…] El ga el Süv/Lü l’è el baüscia milanès, che el ga el Süv!/Occupa tutta la City col Süv/Lui spende e spande alla/stragrande/El ga el Süv, el ga el Süv, el ga el Süv/Süv, Süv, Süv”. La canzone sanremese di Rocco Hunt, Nu juorno buono, che, sia nel titolo, sia nel ritornello, adotta il napoletano, lingua madre del giovanissimo cantante: “È nu juorno buono/stammatina m’a scetat’ o’ sol/l’addore ro’ cafèo’/stereo ppe’ canzone/a quanto tiemp’ cca nun stev’ accussì/ogni cosa accumenc’ pecchè poi adda frnì/ma nun me manca nient’/stamattin nu me manca nient”. E ancora al napoletano ricorre Clementino: un esempio, tra tanti ricorrenti nei suoi testi, in O vient: “Me sient’/song’ a voce e chi nun ten’ nient/mentre parton’ e mbastiment/ce riman sultant O’ Vient, O’ Vient”. Non mancano artisti di area romana, come il rapper Rancore, di padre croato e madre egiziana, che spesso si è concentrato sulle realtà periferiche della Capitale. In Tufello, titolo che riprende proprio il nome della borgata romana tanto amata e allo stesso tempo odiata per il degrado sociale che vi si vive, scrive: “pischelli in comitiva chiedono ‘chi cazzo siete’/sguardi assatanati al collo stemma di mercedes/in mano qualche ceres urlan ‘che me stai a imbruttì’”.
Lo slang anglo-internazionale
Il localismo però non impedisce il largo impiego di uno slang internazionale, fondato – non può essere altrimenti – sull’inglese e sugli anglicismi propri della globalizzazione culturale e commerciale, a volte in un mero atteggiamento ricettivo, a volte con aspre punte polemiche. In Rock City, J-Ax, sempre con un alto tasso di aggressività verbale, scrive a proposito della sua donna: “Lei è nevrotica come un’ex tossica ma si veste con stile/Lei beve lo champagne ma è nata povera e dopo mangia il fried chicken”. L’intreccio di lingue diverse risulta a volte strettissimo e inusitato perché l’anglicismo contamina non l’italiano, ma proprio il dialetto: Wake up guagliù, rappa ancora Rocco Hunt.
Volgarissimo eloquio
La forte carica contestatrice e anticonformista - che a sua volta è talmente presente in questi testi da diventare a sua volta un tratto piuttosto convenzionale - attinge a piene mani al turpiloquio, all’espressione volgare, all’oscenità sessuale, al disfemismo. Nella classifica, redatta da Panorama, dei brani rap/hip pop più popolari nelle playlist del 2015, gli esempi si susseguono: “Ho bestemmiato il Signore fin quando ho visto la Madonna/anche un mio amico mi ha tradito insieme alla mia donna…Ma un giorno gli stacco il cazzo e glielo attacco sulla porta” (Nitro, Rotten); “ma l’artista è come il cazzo sotto coca prima o poi si ritira” (Fabri Fibra, Il rap nel mio paese); quando sia necessario e funzionale alle assonanze, si ricorre anche al repertorio scurrile delle altre lingue: “Italy full of shit!” (Gue Paqueno, Squalo).
Metamusicando
Caratteristica costante del genere sono i numerosi riferimenti metamusicali: nella canzoni gli artisti parlano spesso del loro modo di fare rap, dei loro rivali, a volte persino di dettagli tecnici. Fabri Fibra, per esempio, ammicca ironicamente al fatto che il rap italiano sia piuttosto contaminato: “questa musica è sempre diversa eppure in pista la gente saltella/ta-ta-ta-pa-pa-pa a tutti la stessa metrica sembra tarantella…il rap nel mio paese/un po’ qua un po’ là/un po’ rock un po’ dance un po’ facce balla’”, fino ad aprire una sorta di scurrile tenzone con Fedez: “odio i rapper banali chi li produce e chi li segue/10 in comunicazione non uso mai l’inglese/ora faccio un’eccezione FUCK FEDEZ” (Il rap nel mio paese). La constatazione di una degenerazione del genere e dei suoi esecutori sembra configurarsi come un vero topos: “Sbagliano il verbo,/parlano in gergo,/saltano il nervo,/il beat (il beat),/lo uccido,/volèe di messaggi, /rappo per tutte le bitch che stanno nei centri massaggi, quelle che fanno gli strip, tutti i miei frati selvaggi, con i pezzi negli slip” (Gue Paqueno, Squalo).
Stravolgere le frasi fatte
I giochi di parole, lo stravolgimento di detti popolari o frasi fatte è un altro tratto piuttosto ricorrente: “Mi aspetto che ti piaccia stare sotto le coperte e non sopra le copertine”; “nella vita hai provato più vestiti che sentimenti”; “A volte è Dio che sbaglia la tua ordinazione/per questo se chiudi una porta si apre un burrone” (tutti esempi tratti da L’amore eternit di Fedez).
Improvvisazione, testo cantato e testo tramandato
Il genere rap, come dimostra questa breve e sintetica ricognizione e come per altro testimonia la grande mole, specialistica e non, di saggi, articoli, commenti, analisi, sia a stampa sia sul web, ad esso dedicata, ha un’enorme densità verbale e si presta, a partire dalla microanalisi linguistica, alle più svariate considerazioni, metriche, lessicali, sintattiche, sociolinguistiche. Tutte da esplorare le questioni filologiche – aspetto su cui invece si focalizzano pochi studi: l’improvvisazione, specie in contesti da sfida o “tenzone”, la trascrizione del dialetto, la ritmica giocata sul filo di sillaba, le esecuzioni passibili di varianti potenzialmente infinite, espongono la trascrizione dei brani al rischio di volatilità e instabilità. Una instabilità propria di tutte le realizzazioni linguistiche orali, popolari, di strada, e che, tuttavia, in questo caso, si scontra con la fissazione della riproduzione discografica. Quale sia la forma finale da tramandare di un testo rap, e soprattutto chi la stabilisca (il rapper? La casa discografica? L’uso più diffuso in rete?) sono interrogativi interessanti per gli appassionati del genere, ma anche per linguisti e filologi alle prese con le moderne espressioni d’arte verbale.
Letture consigliate e alcuni link
Francesco Adinolfi, Suoni dal ghetto: la musica rap dalle strade alle hit parade, Costa & Nolan, 1989.
Paola Attolino, Stile ostile: rap e politica, Napoli, CUEN, 2003.
Luca Bandirali, Nuovo rap italiano: la rinascita, Viterbo, Stampa Alternativa, 2013.
Fabio Bernabei, Hip Hop Italia: il rap italiano dalla breakdance alle rapstar, Reggio Emilia, Imprimatur, 2014.
Enrico Bisi, Numero zero. Alle origini del rap italiano, dvd con libro, Milano, Feltrinelli, 2016.
Marco Borroni, Rime di sfida: rap e poesia nelle voci di strada, Milano, Arcipelago, 2004.
Mark Costello, Il rap spiegato ai bianchi, Roma, Minimum fax, 2000.
Nicolò De Rienzo, Hip hop: parole di una cultura di strada, Milano, Zelig, 2004.
Paolo Giovannetti, Dalla poesia in prosa al Rap: tradizioni e canoni metrici nella poesia italiana contemporanea, Novara, Interlinea, 2008.
Pierfrancesco Pacoda, Hip hop italiano: suoni, parole e scenari del Posse Power, Torino, Einaudi, 2000.
Vincenzo Garcia Patane, Hip hop sangue e oro: vent’anni di cultura rap a Roma, Milano, Arcana, 2002.
Potere alla parola: antologia del rap italiano, a cura di Pierfrancesco Pacoda, con un’introduzione di Jovanotti, Milano, Feltrinelli, 1996.
David Toop, Rap: storia di una musica nera, Torino, EDT, 1992.
Numerosissimi i materiali reperibili in rete; segnaliamo quelli dedicati in particolare alla produzione italiana:
http://www.hiphopitaly.com/rap-italiano/
http://www.rapperitaliani.com/
http://noisey.vice.com/it/blog/lezioni-di-hip-hop
*Rosarita Digregorio si è laureata in Storia della Lingua Italiana sotto la guida di Luca Serianni, con una tesi sulla lingua della Chiesa cattolica italiana postconciliare. Ha conseguito il dottorato di ricerca nell’ambito del gruppo ARSIL (Archivio di Sintassi dell’Italiano Letterario), guidato da Maurizio Dardano, occupandosi delle proposizioni temporali della posteriorità in italiano antico. Tra i suoi interessi, la riproduzione letteraria del linguaggio infantile in Elsa Morante, il plurilinguismo de La Storia, la terminologia biblioteconomica, le traduzioni recenti della Bibbia, la storia culturale delle parole. Ha svolto attività lessicografica come redattrice del Grande Dizionario Garzanti della Lingua Italiana e del Vocabolario dei sinonimi e contrari della Le Monnier. Si è occupata degli studi linguistici su Machiavelli per la Bibliografia delle edizioni di Niccolò Machiavelli: 1506-1914 (Manziana, Vecchiarelli Editore, in fase di pubblicazione), progetto internazionale a cura di Piero Innocenti e Marielisa Rossi. Attualmente lavora per l’Istituzione Biblioteche Centri Culturali di Roma Capitale.