Troppa saccenteria o saccenza?
da Accademia della Crusca
Troppa saccenteria o… saccenza?
Rispetto alle altre richieste che arrivano alla nostra redazione, quelle sul rapporto tra le due forme saccenteria e saccenza si caratterizzano per alcuni aspetti particolari: coprono un arco di tempo abbastanza lungo (dal 2005 a oggi) con cadenza costante e regolare (una, due all’anno), almeno all’apparenza non rientrano nei dubbi più ricorrenti e non sembrano essere l’effetto di picchi di utilizzo delle parole oggetto delle richieste, dovuti a una concentrata e martellante diffusione mediatica su specifici temi d’attualità. Ci troviamo pertanto di fronte a un problema prettamente linguistico, relativo alle modalità di formazione delle parole nel contesto dell’italiano contemporaneo così permeabile alle interferenze di varietà e registri diversi, un aspetto, come vedremo, decisamente presente anche in questo caso.
Diciamo subito che la forma registrata in tutti i dizionari dell’uso è saccenteria con il significato di “essere saccente; ostentazione noiosa e irritante della propria erudizione, delle proprie cognizioni, spesso superficiali e, talvolta, solo presunte” (Vocabolario Treccani, ma si trovano definizioni pressoché analoghe in tutti i dizionari sincronici). Si tratta di un sostantivo derivato sulla base dell’aggettivo saccente, forma di origine meridionale derivata dal latino sap?ens -entis, participio presente del verbo sap?re ‘essere saggio’, con l’aggiunta del suffisso -eria che, nel sistema di formazione delle parole in italiano, serve anche a formare i cosiddetti nomi di qualità (cioè nomi che esprimono una qualità tipica della persona designata dalla base) che spesso assumono un valore negativo con sfumature dispregiative, come avviene ad esempio in pedanteria, diavoleria, minchioneria, spilorceria e anche nell’incipiente subdoleria, già oggetto di una scheda di Matilde Paoli pubblicata nel nostro sito.
E saccenza? Dal punto di vista della sua formazione si tratta sempre di un nome di qualità, costruito anch’esso a partire da saccente, trattato come un participio presente a cui è stato aggiunto il suffisso -(en)za, analogamente a moltissime altre parole come, arroganza (da arrogante) conoscenza (da conoscente), latitanza (da latitante), occorrenza (da occorrente), somiglianza (da somigliante) e via dicendo. Una modalità di formazione molto produttiva e del tutto regolare che, nel caso di saccenza però, produce una forma concorrente al già radicato e attestato saccenteria.
E infatti, nella registrazione lessicografica della storia della nostra lingua si trova una sporadica e debolissima traccia di saccenza: manca nel Vocabolario degli Accademici della Crusca che, fin dalla sua prima edizione del 1612, ha saccenteria (con rimando a saccente) che diventerà voce autonoma nella terza edizione del 1691, in cui troviamo anche sacciutezza senza esempi e definita semplicemente come ‘saccenteria’, per poi sparire nelle due edizioni successive; il GDLI registra saccenza come parola arcaica e letteraria con il significato di ‘consapevolezza’ e con un’unica attestazione di Guido Guinizzelli; lo stesso passo del Guinizzelli è riportato, sotto la voce smirare, nel Tommaseo-Bellini che però non accoglie a lemma saccenza. Dunque per i vocabolari dell’uso in particolare, ma anche per i principali vocabolari storici, il sostantivo saccenza risulta pressoché inesistente.