La grammatica non è innata

Thursday, September 29, 2016

Da La Voce di New York

 

Con Chomsky avevamo torto, la grammatica non è innata

Gli studi di Dan Everett su una tribù dell'Amazzonia contraddicono le teorie del celebre linguista dell'MIT

Per mezzo secolo ha regnato la teoria di Noam Chomsky: nel nostro cervello ci sarebbe un meccanismo linguistico innato, biologico, il “LAD”, che acquisisce la lingua senza che nessuno ci spieghi le forme grammaticali. Studiando la tribù amazzonica dei Piraha, Dan Everett dimostra il contrario: il bambino impara nel corso del tempo attraverso l'interazione sociale

 

di Filomena Fuduli Sorrentino - 25 settembre 2016

 

Noam Chomsky, professore emerito di linguistica al Massachusetts Institute of Technology (Mit), è uno degli intellettuali più seguiti dalla sinistra radicale americana e mondiale. Ma a parte i suoi interventi sulla politica, nel settore della linguistica Chomsky è lo studioso più importante del XX secolo per la sua LAD (Language Acquisition Device ), l’ipotesi cognitiva che il cervello umano possieda una capacità linguistica in grado di organizzare i principi della grammatica in tutte le lingue.

Perciò, secondo Chomsky, nel nostro cervello ci sarebbe un meccanismo linguistico innato, biologico, il “LAD”, che automaticamente acquisisce la lingua senza che nessuno ci spieghi le forme grammaticali. Una teoria che ha suscitato l’interesse della linguistica e di altre discipline come la filosofia, la psicologia, la scienza e della comunicazione, ponendo anche quesiti sulla teoria dell’evoluzione per più di mezzo secolo.

In breve, la teoria di Chomsky si sviluppa durante gli anni ‘60 e ‘70 con delle basi generali, comuni per tutti i tipi di idiomi. In seguito, nel 1980, Chomsky e i suoi seguaci riesaminano la teoria con un insieme di principi “universali” che governano la struttura del linguaggio con una sola grammatica universale per tutte le lingue del mondo. Questi principi, insieme alla cultura, producono variazioni di lingue umane, e i chomskiani sostengono che appena i bambini acquisiscono parole o frasi i loro cervelli, che funzionano come se fossero degli interruttori biologici, si accendono e producono il linguaggio umano automaticamente. Comunque, chi insegna una lingua può notare che non tutti gli studenti imparano la lingua facilmente, e che l’assunto che i bambini siano dotati della capacità innata per formare frasi usando regole grammaticali astratte non funziona.

In seguito, ci sono stati nuove ricerche e molti dibattiti sul modo in cui i bambini imparano a capire e a parlare le lingue nelle loro comunità, i quali non sostengono le affermazioni di Chomsky. Anzi, un articolo su Scientific American di questo mese descrive le ricerche di Dan Everett, linguista missionario, e i suoi controversi studi sulla lingua della tribù amazzonica pirahã contraddicono il pensiero di Chomsky. La straordinaria analisi di Everett è tanto affascinante quanto scioccante, anche se ci sono altri scienziati, cognitivi, e linguisti, che dibattono sulla teoria conosciuta come grammatica universale.

Dan Everett dimostra che l’apprendimento della lingua madre del bambino non si basa sul meccanismo della grammatica innata.  E, anche se il bambino impara la lingua senza alcuno sforzo, lo fa attraverso l’interazione sociale, utilizzando costruzioni di frasi linguistiche create dalla comunità nel corso del tempo. Un bambino in isolamento non impara a parlare nessuna lingua, e non può nemmeno utilizzare i vari tipi di pensiero, come, per esempio, la classificazione di oggetti nel mondo che lo circonda in categorie, per comprendere le relazioni tra le cose. Pertanto, secondo le nuove indagini, l’apprendimento della lingua non si basa su una capacità di grammatica innata, ma sull’utilizzo di vari tipi di pensiero a secondo della cultura in cui il bambino cresce; imparando semplici frasi grammaticali all’inizio e poi, lentamente, intuendo le regole.

Molte lingue e dialetti si sono estinti nei secoli, e molte sono in estinzione o quasi sconosciute, come la lingua dei Pirahã, che è senza numeri e contraddice la teoria chomskiana. I pirahã – si pronuncia pirahàn – sono una popolazione amazzonica di cacciatori-raccoglitori, formata oggi da circa 700 persone, che vive nelle giungle del Brasile nordoccidentale, lungo le rive del fiume Maici, e anche la loro lingua è chiamata Pirahã. Tra settemila lingue, circa, parlate oggi nel mondo, questa non possiede vocaboli per indicare grandezze numeriche. Un popolo amazzonico che non fa operazioni matematiche e usa concetti come “alcuni” e “molti” per definire la quantità. Ad esempio: due o tre pirahã sono “alcuni” pirahã, mentre sei pirahã sono “molti” pirahã. Non ha nemmeno il concetto dell'”uno”, e un solo pirahã è solo “ pirahã “. Nello stile di vita e nelle attività usuali del popolo amazzonico niente richiede di contare oltre il numero tre, e quindi, non utilizzano numeri.

Daniel L. Everett, un linguista missionario, scoprì che la lingua dei pirahã fosse più unica che rara. Egli visse per 27 anni presso i pirahã, studiandone il loro linguaggio e tentando di convertirli al cristianesimo ma tornò negli States da ateo, e con un’indagine linguistica che non si accorda con la Grammatica Universale di Chomsky. Secondo Dan Everett, all’idioma dei pirahã manca la proprietà che altri linguisti, come Chomsky, ritengono, essere strumento fondamentale per il linguaggio umano, cioè la grammatica universale.

L’idioma pirahã discende dalla lingua Mura, e tutti i dialetti di questa famiglia si sono estinti. Questo fa del pirahã una lingua senza nessun parente nel mondo. Nel corso degli ultimi decenni, gli altri parlanti Mura sono passati al portoghese, ma per i Pirahã sembrerebbe che non abbiano alcuna intenzione di cambiare la loro incomprensibile lingua. Una parola di questo idioma ha diversi significati, e i cacciatori si parlano fischiando. Non hanno pronomi, o norme linguistiche, e il sistema fonetico è formato da soli otto consonanti e tre vocali, ma con una grande ricchezza di accenti e intonazioni. Una loro conversazione è simile a un canto o a un fischio. Non hanno un pensiero che implichi astrazioni, loro devono vedere, e toccare. Non hanno parole come “buongiorno” o “come stai”, ma vivono in armonia formando un insieme in modo semplice, e si sentono sicuri che gli altri condividono i loro sentimenti. Non conoscono la proprietà privata, il potere, la guerra, il suicidio, le malattie mentali.

Oggi sappiamo che a parte i concetti di similarità, ogni linguaggio ha una sua “visione del mondo” e questa visione si infonde in chi lo parla. In fatti, nel nuovo approccio che comprende le idee dalla linguistica funzionale, cognitiva, e della grammatica di costruzione, i bambini non nascono con uno “strumento universale” per imparare la grammatica, poiché il linguaggio umano non è solo verbale, e può essere espresso attraverso segni grafici, sistemi di suoni, figure, e gesti . Perciò, le lingue, e le regole sintattiche, sono potenzialmente modificabili dalla creatività, da influssi di altre lingue, e da equivoci di trasferimento, perché ogni idioma è un fenomeno sociale e deve essere spiegato riferendosi a una dinamica sociale evoluzionistica, oltre che a una dinamica biologica. E, soprattutto, dobbiamo ricordare che ogni lingua contiene la propria cultura, e l’identità di un popolo.

 Per saperne di più visitare il sito del progetto Endangered Languages, dove si possono localizzare le lingue sulla mappa e ascoltarle con file audio e video